Non è necessaria la manifestazione di volontà dei partecipanti per la costituzione del Condominio

Il codice civile, nonostante la riforma del condominio introdotta con la L. 220/2012, non fornisce ancora una definizione del condominio di edifici, ciò presumibilmente in quanto esso non configura in sé un autoregolamento espressione di autonomia privata, ovvero di attività creativa, modificativa o estintiva di rapporti giuridici.

Invero, il condominio è inteso, in senso oggettivo, qualificazione giuridica di un fatto: la legge tiene conto della situazione strutturale di un edificio e vi attribuisce rilevanza in se e ipso iure, privando di sussistenza qualsiasi volontà del singolo a parteciparvi o meno.

Importante è anche ricordare come la causa costitutiva della condominialità – e quindi della destinazione delle cose comuni al servizio di tutti gli appartamenti -non sia da ricercare nell’acquisto del diritto singolo di proprietà, ma nell’atto di ripartizione di un immobile unico in singole porzioni esclusive.  La comunione edilizia – il condominio appunto –si forma perciò con il frazionamento della proprietà di un unico edificio in unità suscettibili di separata utilizzazione e titolarità, a cui automaticamente vengo asserviti i beni elencati di cui all’art. 1117 c.c. in forza della presunzione legale del rapporto di accessorietà.

Dunque, perché sia costituito un condominio negli edifici, cui applicare l’art. 1117 e ss. C.c. non sono necessarie, ed anzi neppure sono rilevanti, né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore o dei successivi proprietari, né l’approvazione assembleare dei proprietari delle singole unità immobiliari del fabbricato.

Sul punto è ritornata recentissimamente la Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. VI. Rel. Scarpa Ordinanza n. 23740 del 10.10.2017) la quale ha ribadito la costante posizione circa la costituzione ex facto del condominio (tra le tante Cass. Civ. n. 26766/2014) anche nel cd. condominio minimo, cioè quel condominio composto da due soli partecipanti, in un caso ove il diritto al rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute da un partecipante veniva condizionato al più stringente presupposto dell’urgenza ex art.1134 c.c. e non solo alla mera trascuranza degli altri comunisti come dettato dalla norma in tema di comunione, art. 1110 c.c.

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