CESSIONE DEL CREDITO IN PENDENZA DI PROCEDIMENTO GIUDIZIALE

Durante la pendenza di un processo per l’accertamento di un credito controverso non è infrequente che possano verificarsi fenomeni successori che modifichino le parti attive e passive del rapporto stesso.

La successione può avere carattere universale (ex. successione eredi del de cuius nella totalità o nella quota di patrimonio), ovvero a titolo particolare (ex. cessione di un credito).

Quanto alle modalità di trasferimento può avvenire mortis causa (ogni acquisto conseguente all’evento morte di un soggetto) ovvero inter vivos (ogni acquisto conseguente alla cessione della titolarità di diritti ovvero obblighi, come avviene ad esempio nella donazione o nella cessione del credito).

A norma dell’art. 111 c.p.c. la successione a titolo particolare nella titolarità del diritto controverso ha un’incidenza specifica sullo svolgimento del processo solo se avviene mortis causa, perché in tal caso la prosecuzione è possibile solo nei confronti del successore; in mancanza il processo è interrotto.

Se, invece, la successione avviene a titolo particolare per atto inter vivos, allora la vicenda successoria non impedisce lo svolgimento del processo tra le parti originarie.

La questione che vogliamo qui cercare di risolvere riguarda la successione inter vivos e a titolo particolare di una pretesa creditoria in pendenza di un procedimento giudiziale.

In primis è bene verificare in che momento del procedimento risulta trasferita la pretesa creditizia. La cessione può avvenire:

  1. prima dell’instaurazione del procedimento giudiziale per l’accertamento dello stesso;
  2. nel corso del procedimento giudiziale di accertamento;
  3. al termine del procedimento giudiziale di merito ma prima dell’instaurazione del processo esecutivo;
  4. nel corso del processo esecutivo.

 

Nel primo caso non si pongono problemi di specie poiché la pretesa a far valere il proprio credito sarà azionata direttamente dal cessionario. Pertanto le parti processuali saranno fin da principio cessionario e debitore.

 

Nel secondo caso, sono parti processuali il cedente ed il debitore. Con la cessione del credito in corso di causa si determinerà la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui conseguirebbe, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario (art. 81 c.p.c.), anche in caso di intervento di quest’ultimo, fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti. (Trib. Bari, sez. I, 12/05/2015, n. 2171; Cass. Civ., sez. I, 22/10/2009, n. 22424).

Invece, nel caso in cui la cessione avvenga al termine del procedimento di primo grado, senza che la sentenza sia passata in giudicato, ed il giudizio di secondo grado venga instaurato contro il successore a titolo particolare del credito, senza integrare il contraddittorio con il cedente, se quest’ultimo non partecipa alla fase di gravame perché non ha interesse ad intervenire nel giudizio e se la controparte accetta il contraddittorio con il nuovo soggetto processuale, il giudizio instaurato in secondo grado è valido. Questo perché sia la dimostrata volontà del cedente di voler “restare fuori” dal procedimento, sia l’accettazione della controparte del contraddittorio con il nuovo soggetto, integrano i presupposti per l’estromissione dal giudizio del cedente che, pur in assenza di un provvedimento formale, cessa di essere litisconsorte necessario (Cass. Civ., Sez. Trib., 12/12/2003, n. 19072).

 

Nel terzo caso prospettato in cui la successione si verifica prima dell’instaurazione del processo esecutivo, viene in soccorso l’art. 475 c.p.c. che prevede che la spedizione in forma esecutiva del titolo può essere effettuata in favore della parte a beneficio della quale è stato pronunziato il provvedimento o stipulata l’obbligazione ovvero dei suoi successori. Il controllo della regolarità formale della titolarità del credito in capo alla parte del processo esecutivo viene inoltre già effettuato dal Giudice dell’Esecuzione in sede di verifica della documentazione in atti preliminarmente alla fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c.

 

Infine nel quarto caso, se la successione avviene nel corso del processo esecutivo, il titolo esecutivo spiega la sua efficacia in favore del titolare del credito e di tutti i suoi successori, siano essi a titolo universale o particolare (Cass. Civ. Sez. III, n. 14096 del 01/07/2005 “la successione a parte creditoris non è prevista espressamente dalla legge con riferimento al processo esecutivo, ma è stata ripetutamente considerata dalla giurisprudenza di questa Corte per consentire la prosecuzione del processo esecutivo dopo l’alienazione del credito sia al creditore originario, sia a quello subentrante” cfr. anche Cass. 8 dicembre 2003, n. 73; Cass. 6 luglio 2001, n. 9211; Cass. 15 settembre 1995, n. 9727; Cass. 20 marzo 1991, n. 2955; Cass. 7 aprile 1986, n. 2405).

Inoltre, ove il credito oggetto di esecuzione forzata sia stato ceduto nel corso del processo esecutivo, si verifica la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente, la quale non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall’art. 111 c.p.c., dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie. Ne consegue che, ove il debitore esecutato abbia proposto opposizione all’esecuzione, lamentando il difetto di legittimazione attiva de creditore procedente, ciò non si traduce nell’improcedibilità del processo esecutivo già iniziato, né preclude al cessionario la facoltà di intervenire nel processo medesimo (Cass. Civ., Sez. VI, 24/01/2011, n. 1552; Cass. Civ., Sez. III, 11/03/2004, n. 4985).

Pertanto il cedente mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam) conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso delle altre parti.

Infatti, quando la cessione del credito avviene a processo esecutivo iniziato ed è l’originario creditore a proseguirlo in accordo con il cessionario, il debitore, da un lato, deve rivolgere le sue opposizioni contro la parte che procede; dall’altro, dovendo i principi evincibili dall’art. 111 c.p.c. essere adattati alle caratteristiche proprie del processo esecutivo (per cui la soluzione di determinate questioni incidentali avviene anziché nell’ambito dello stesso processo in distinti giudizi di cognizione, quali quelli volti a decidere sulle questioni concernenti l’estinzione, le opposizioni esecutive e le controversie sulla distribuzione del ricavato), deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando la prosecuzione del processo stesso tra le parti originarie, la possibilità per il cessionario di svolgere le attività processuali inerenti all’indicato subingresso nella qualità di soggetto passivo, e quindi (anche) la facoltà di intervenire, ai sensi dell’art. 111, comma 4, c.p.c., nel giudizio di cassazione pur non avendo spiegato intervento in primo grado, e pur essendo subentrato nella titolarità del diritto controverso prima che l’opposizione fosse proposta (essendo all’epoca il processo esecutivo già iniziato) (Cass. Civ., Sez. III, 11/03/2004, n. 4985).

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